Città svuotate. Un silenzio assordante spezzato soltanto dalle sirene di un’ambulanza. O una volante. In giro neanche un cane. Anzi, troppi. Con rispettivi padroni al guinzaglio. Coprifuoco.

Ansia anche solo nell’uscire sotto casa per timore di essere fermati da una pattuglia. Sembra di stare in guerra. Contro un nemico invisibile, ma presente. Un buzzatiano manipolo di Morzi pronti a fare la rivoluzione e assaltare la Scala, se solo fosse aperta. Invece Milano è deserta. Strade vuote, ospedali pieni. C’è corsia e corsia.

Fumare sigarette su sigarette per noia, impastata a sofferenza. Non ascoltare musica per non rischiare di associarla a questo periodo quando tutto sarà finito. E chissà quando. All’alba, la redazione - ormai semivuota - come ultimo avamposto di normalità. 

Solitudine. Gli affetti vicini lontani e gli affetti lontani vicini. Pomeriggi, giornate interminabili. Ogni tanto, in lontananza, le note di una canzone di Conte (Paolo) o Modugno (Domenico). Flash mob, li chiamano. Tricolori appesi ai balconi con mesi di anticipo sugli Europei, che nel frattempo sono slittati all’anno che verrà. 

Solidarietà nazionale e gente che litiga nei supermercati perché si sta troppo vicini. Fiumi di amuchina e mani screpolate. Mascherine improvvisate. Neo-laureati in Medicina catapultati a muso duro nella realtà. Vite spezzate, vite sospese.

Pasqua alle porte, che però restano chiuse fino a data da destinarsi. Chissà se risorge anche quest’anno.