Lo confesso: non avevo intenzione di scrivere nulla in merito al libro di Martino Ciano, Oltrepassare.
Lo sentivo, a primo acchito, molto complesso, tanto quanto a volte sanno essere alcune persone che, dietro al sorriso, celano l’abisso.
Poi mi sono “scontrata” con un nuovo ascolto de Le Sacre du Printemps di Igor Stravinskij – la primavera, nonostante la neve, è ormai nell’aria – ed ho trovato nella potenza del suono e nella barbarica e tumultuosa celebrazione del rito, nell’illogica (?) sequenza dei ritmi, uno straordinario non so che di somiglianza con i colpi inferti dalla sua scrittura.
La letteratura, la musica, la pittura suggeriscono, come sempre, chiavi di lettura molto stimolanti.Un monologo interiore, in Oltrepassare, si dipana lungo trame – temi – che potrebbero sembrare scollegati fra loro; si trovano piuttosto al gradino superiore della scala fra l’incoscienza e la coscienza – così direbbe Primo Levi - indicandone un confine sottilissimo.
Le parole possono essere lame taglienti che trapassano il cuore. Le non storie possono narrare vicende reali. E tutto è ancorato su un tappeto linguistico ritmicamente trascinante e coinvolgente.
Ed anche in Le Sacre sembrerebbe scomparsa la melodia, il tema, la traccia. Ma non è così. Scompare la forma, ma non la sostanza, la quale trasforma le sue caratteristiche più classiche puntando altrove l’attenzione; primo fra tutti il colore del suono.
Così come, in Oltrepassare, scomparsa la visione, scomparso il fluire di un racconto che sembra, ma non è, leggiamo parole di pura poesia.
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