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martedì 27 marzo 2018

VIA CRUCIS, A CURA DI GIAN FRANCO BELSITO Video con montaggio di Francesca Grisolia


Sfogliando il libro di Don Gian Franco Belsito,  della   "Via Crucis le sculture  di Antonio Gaglianone nella chiesa di Belvedere Marina", la Santa Pasqua è ancor più viva in mezzo a noi.
Si tratta di  un testo agile dal quale, è bene sottolinearlo, emerge un pezzo di storia del proprio territorio: Belvedere Marittimo, grazie a questo testo curato da Don Gianfranco Belsito attuale parroco della comunità della Marina, inserisce un altro importante tassello in cui arte e storia si intrecciano, offrendo un grande contributo all'identità di un popolo.
 L’opera dello scultore belvederese scomparso nel 2007, è ancora poco conosciuta al pubblico in quanto fatta installare dallo stesso Don Gianfranco solo di recente nell’Aula liturgica della chiesa Maria Santissima del Rosario di Pompei, sita nella Marina di Belvedere Marittimo. La Via Crucis è molto particolare nella sua composizione - diciassette le formelle anzichè quattordici o quindici come nella tradizione -  a proposito della quale l'autore precisa testualmente: "La mano di Don Erminio è chiaramente rinvenibile nella introduzione di tre stazioni che normalmente non sono inserite nello schema classico della Via Crucis: il “Bacio di Giuda”, l’Ecce Homo” e “Oggi sarai con me in paradiso”.
 Ma sono tante e interessantissime le spiegazioni a proposito di quest'opera e dell'arte più in generale.



 

Le sculture di Antonio Gaglianone nella chiesa di Belvedere marina curato da Don Gianfranco Belsito, attuale parroco della comunità, è una lettura ricca di particolari davvero interessanti.
Pur essendo stata commissionata dal primo parroco della comunità, Don Erminio Tocci, non fu collocata in tempo dal suo successore, Don Silvio Rumbolo, perché la morte lo colse in modo improvviso e inaspettato e, a chiesa rifatta ma non completamente allestita, le formelle di terracotta restarono, quasi nell’oblio, in attesa di sistemazione.
 La via Crucis possiede dunque una storia del tutto originale in cui il valore didattico e rappresentativo consegnano l’opera d’arte col suo messaggio evangelico, direttamente al popolo, grazie alla simbologia della morte che prelude la Pasqua, sono questi significati altamente incisivi. Infatti la contrapposizione fra la bruttezza della morte e la bellezza della resurrezione è lo sfondo sul quale arte e vita si sovrappongono ed emergono in forma di amore.
 In quanto poi al numero delle formelle, diciassette, esso rivela la discordanza con la tradizione, voluta da Don Erminio Tocci. In tale difformità - le stazioni com’è noto, sono solitamente 14 - risiede l’originalità stilistica dello scultore, in coerenza con il committente, ed interpreta e illustra tratti e volti della nostra terra. Tratti e volti che, anch’essi, rappresentano una sacralità in cui, finalmente, la collettività prevale sull’individualismo, una collettività sofferente e sopraffatta ancora dai soprusi e dal malaffare, che affoga nel silenzio. E questo dimostra quanto l’artista belvederese fosse fortemente radicato al territorio. 
Adriana Sabato


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