A Belvedere Marittimo
manca un leader, scrive il giornalista Antonello Troya nell’articolo “Il leader
che non c’è”.
Lo spiega bene
dopo aver tracciato i contorni della politica locale degli ultimi trent’anni. E
fa riflettere. Soprattutto quando il tono del discorso diventando meno faceto, fa
pensare a cosa sia quel ‘qualcosa’ che manca ormai da tanto. E non solo nella
politica locale.
“Manca quella
figura che possa raccogliere non solo le giustezze di una comunità alla deriva,
ma anche le sue difficoltà. Una persona che sappia parlare ma che sappia allo
stesso tempo capire e più di tutto ascoltare e osservare.
"Sembra difficile
a credere, così esordisce Troya, ma a Belvedere manca un leader. E non parlo
certamente di un personaggio con carisma, un trascinatore di folle. Uno che,
per esempio, si alza una mattina ti fa un partito e vince le elezioni nel giro
di 12 mesi. Sì, qualcuno potrebbe obiettare, ma qui siamo in una piccola
comunità. La politica si fa con la clientela. Ok, va bene. Partiamo allora dai
personaggi presenti. Non posso non iniziare che da Riccardo Ugolino, da 25 anni
(credo) in politica. Superato solo per numero di presenze da Ciriaco
Campilongo: ritengo che già in tenera età fosse consigliere comunale. Ugolino ha
festeggiato le nozze d’argento sempre tra i banchi in consiglio, a volte in
maggioranza, a volte all’opposizione. E in ambedue i casi ha sempre dettato
legge, vuoi per mancanze degli altri, vuoi per la scaltrezza che lo
contraddistingue. Qualcuno lo voleva rottamato: e invece viene invitato agli
“Apericena” e indicato forse come l’unico portatore sano di una politica dicasi,
ma che poi non lo è, di sinistra. Dice che non si ricandida: lo dice sempre, e
ogni volta è in prima linea a contare voti, intrallazzare legami, insomma fa il
politico. La clientela? l’ha reinventata e modellata secondo i momenti storici.
Un politico di razza è anche Giuseppe Mistorni. Forse voleva fare lui il
leader. Lo avrà anche fatto quando il consiglio comunale diventava l’agorà dei
piani regolatori, delle concessioni, degli “aiutini” all’amico o al compagno di
partito, se poi era della stessa corrente, meglio. Ma qui si parla di
Democrazia Cristiana, altroché. Di quella vera. Di quella che ha dettato legge
per decenni in Italia come in Calabria. Don Peppe è stato assessore regionale,
sindaco di Belvedere, assessore comunale, dirigente della Dc e poi del Partito
Popolare. Quelli sì che erano bei tempi. Tempi di potere, quando don Peppe
parlava alla pari, sbattendo i pugni sul tavolo, con i vari Misasi, Covello e i
nascenti Gentile. Uno che chiamava per nome l’allora potentissimo Ciriaco De
Mita. Che prendeva il caffè con Franceschini (ora ministro) al bar turistico. Un
amore odio con Ugolino. La frattura tra i due, insanabile, quando Ugolino
spinse per la presenza di Mistorni in lista a sostegno della candidatura di
Mauro D’Aprile sindaco. Quest’ultimo vinse per una manciata di voti. Si vede
che era destino che Granata dovesse governare per altri 10 anni. E così è
stato. Granata Enrico, ingegnere. Presente! Il più longevo dei sindaci. Se si
ricandidasse per dieci volte, dieci volte verrebbe eletto. La sua faccia da pacione
rispecchia la sua politica: non belligerante. Mai sotto i riflettori, che
comunque non disprezza: quando deve, e lo fa con forza, parla a voce bassa. Non
ha avuto velleità di consigliere regionale, o quantomeno provinciale: si è
dedicato alla politica locale. E bisogna dire anche che non è mai stato
destinatario di un avviso di garanzia dalla procura. Ha saputo muoversi con
destrezza nella giungla politica condita da agguati di ogni tipo. Granata,
Mistorni e Ugolino: tre figure che hanno segnato un’epoca a Belvedere. Li
ricorderanno per anni e forse dedicheranno loro anche una via o una piazza. Un
loro errore? Non aver indicato i successori. Troppo calda la sedia e troppo
comoda per lasciarla, anche al più fedele dei collaboratori. E così la guerra del
sospetto è iniziata: nel cosiddetto centrodestra come nel centrosinistra. Manca un leader, vero. Manca quella figura che possa
raccogliere non solo le giustezze di una comunità alla deriva, ma anche le sue
difficoltà. Una persona che sappia parlare ma che sappia allo stesso tempo
capire e più di tutto ascoltare e osservare. Osservare i cambiamenti, così
repentini che ormai lo status sociale ci obbliga a vivere. Trovare un figlio di
Bernardino Telesio, non della cultura araba”.
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