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martedì 9 maggio 2017

BELVEDERE




 A Belvedere Marittimo manca un leader, scrive il giornalista Antonello Troya nell’articolo “Il leader che non c’è”.
 Lo spiega bene dopo aver tracciato i contorni della politica locale degli ultimi trent’anni. E fa riflettere. Soprattutto quando il tono del discorso diventando meno faceto, fa pensare a cosa sia quel ‘qualcosa’ che manca ormai da tanto. E non solo nella politica locale.
“Manca quella figura che possa raccogliere non solo le giustezze di una comunità alla deriva, ma anche le sue difficoltà. Una persona che sappia parlare ma che sappia allo stesso tempo capire e più di tutto ascoltare e osservare.
"Sembra difficile a credere, così esordisce Troya, ma a Belvedere manca un leader. E non parlo certamente di un personaggio con carisma, un trascinatore di folle. Uno che, per esempio, si alza una mattina ti fa un partito e vince le elezioni nel giro di 12 mesi. Sì, qualcuno potrebbe obiettare, ma qui siamo in una piccola comunità. La politica si fa con la clientela. Ok, va bene. Partiamo allora dai personaggi presenti. Non posso non iniziare che da Riccardo Ugolino, da 25 anni (credo) in politica. Superato solo per numero di presenze da Ciriaco Campilongo: ritengo che già in tenera età fosse consigliere comunale. Ugolino ha festeggiato le nozze d’argento sempre tra i banchi in consiglio, a volte in maggioranza, a volte all’opposizione. E in ambedue i casi ha sempre dettato legge, vuoi per mancanze degli altri, vuoi per la scaltrezza che lo contraddistingue. Qualcuno lo voleva rottamato: e invece viene invitato agli “Apericena” e indicato forse come l’unico portatore sano di una politica dicasi, ma che poi non lo è, di sinistra. Dice che non si ricandida: lo dice sempre, e ogni volta è in prima linea a contare voti, intrallazzare legami, insomma fa il politico. La clientela? l’ha reinventata e modellata secondo i momenti storici. Un politico di razza è anche Giuseppe Mistorni. Forse voleva fare lui il leader. Lo avrà anche fatto quando il consiglio comunale diventava l’agorà dei piani regolatori, delle concessioni, degli “aiutini” all’amico o al compagno di partito, se poi era della stessa corrente, meglio. Ma qui si parla di Democrazia Cristiana, altroché. Di quella vera. Di quella che ha dettato legge per decenni in Italia come in Calabria. Don Peppe è stato assessore regionale, sindaco di Belvedere, assessore comunale, dirigente della Dc e poi del Partito Popolare. Quelli sì che erano bei tempi. Tempi di potere, quando don Peppe parlava alla pari, sbattendo i pugni sul tavolo, con i vari Misasi, Covello e i nascenti Gentile. Uno che chiamava per nome l’allora potentissimo Ciriaco De Mita. Che prendeva il caffè con Franceschini (ora ministro) al bar turistico. Un amore odio con Ugolino. La frattura tra i due, insanabile, quando Ugolino spinse per la presenza di Mistorni in lista a sostegno della candidatura di Mauro D’Aprile sindaco. Quest’ultimo vinse per una manciata di voti. Si vede che era destino che Granata dovesse governare per altri 10 anni. E così è stato. Granata Enrico, ingegnere. Presente! Il più longevo dei sindaci. Se si ricandidasse per dieci volte, dieci volte verrebbe eletto. La sua faccia da pacione rispecchia la sua politica: non belligerante. Mai sotto i riflettori, che comunque non disprezza: quando deve, e lo fa con forza, parla a voce bassa. Non ha avuto velleità di consigliere regionale, o quantomeno provinciale: si è dedicato alla politica locale. E bisogna dire anche che non è mai stato destinatario di un avviso di garanzia dalla procura. Ha saputo muoversi con destrezza nella giungla politica condita da agguati di ogni tipo. Granata, Mistorni e Ugolino: tre figure che hanno segnato un’epoca a Belvedere. Li ricorderanno per anni e forse dedicheranno loro anche una via o una piazza. Un loro errore? Non aver indicato i successori. Troppo calda la sedia e troppo comoda per lasciarla, anche al più fedele dei collaboratori. E così la guerra del sospetto è iniziata: nel cosiddetto centrodestra come nel centrosinistra. Manca un leader, vero. Manca quella figura che possa raccogliere non solo le giustezze di una comunità alla deriva, ma anche le sue difficoltà. Una persona che sappia parlare ma che sappia allo stesso tempo capire e più di tutto ascoltare e osservare. Osservare i cambiamenti, così repentini che ormai lo status sociale ci obbliga a vivere. Trovare un figlio di Bernardino Telesio, non della cultura araba”.

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